“Non conosco uomo”. Con queste parole, secondo Luca 1, 26- 37, Maria risponde all’Arcangelo Gabriele che le annuncia la sua prossima maternità. Alla potenza del messaggio divino la fanciulla di Nazareth ribatte incredula. Maria è donna, conosce l’accadimento della procreazione e l’angelo mandato le rivela invece la via che il Padre ha scelto per farle partorire suo Figlio.
Maria, ubbidiente al volere imperscrutabile di Dio, risponde: “ Ecco l’ancella del Signore”.
Null’altro. Concretezza e mistero, realtà e divino sono tutt’uno in quest’episodio della vita di Gesù, tra i più rappresentati nella storia dell’arte, fin da quell’immagine- che si crede tra le più antiche- affrescata sulla volta della catacomba di Priscilla, databile alla prima metà del III secolo, dove un angelo messaggero con la mano alzata annuncia a Maria, seduta sulla sinistra, il volere di Dio.
Nessun ornamento o dettaglio abbellisce l’immagine che quell’anonimo discepolo di Gesù ha lasciato alla comunità dei primi fedeli, quell’epoca ancora interdetta, come testimonianza di quell’incontro eccezionale, all’origine della cristologia cattolica.
Del resto ben poco si poteva aggiungere a quel disegno degno della semplicità di quell’evento, così eloquente nella sua scarna descrizione da poter imprimere nella coscienza dei primi cristiani la straordinarietà di quegli attimi decisivi nella storia spirituale dell’umanità.
E, infatti, l’immagine della Vergine annunciata diventerà da subito non solo una delle composizioni sacre più diffuse, ma anche tra quelle più persistenti nel tempo, fino alla nostra contemporaneità.
Solo pochi secoli dopo quel piccolo, potente disegno, gli artisti- e furono tantissimi- chiamati a narrare di quell’incontro soprannaturale, ritennero di doverlo rappresentare aggiungendo via via a quella primitiva sobria descrizione più regalità, più ricchezza e più pathos.
E’ così che l’iconografia di Maria percorre tutta la storia dell’arte, coniugandosi di volta in volta con il gusto e lo stile delle diverse epoche, sempre però al centro di quel tributo, che i pittori, i più diversi, le hanno riservato, mutuando dalle fonti evangeliche, che narrano l’episodio, moltissimi particolari e dettagli, arricchiti dall’ardore spirituale per quel soggetto tanto caro alla storia della Chiesa, che senza soluzione di continuità mosse la mano dei più grandi artisti, dal Rinascimento fino almeno a tutto il XIX secolo.
Il tema di Maria Annunciata diventa oggetto di continue variazioni. Ora dipinta dentro casa, ora fuori, protetta da un’edicola come nelle più antiche raffigurazioni di messali, o dentro la navata di una Chiesa, come nella superba interpretazione che ci ha lasciato Jan Van Eyck, ora vestita di umiltà con mantello azzurro e abito rosso porpora, come nell’Annunciazione del Beato Angelico, di Piero o di Antonello, ora regina con stoffe preziose come nella splendida composizione di Carlo Crivelli.
Ora seduta, ora in piedi o inginocchiata, nell’antichità a sinistra dell’Angelo e poi alla sua destra, ora stupita e forse spaventata, come nella folgorante Annunciazione di Lotto di Recanati o ritrosa come in Simone Martini o nell’Annunciata pre-raffaellita di Dante Gabriele Rossetti, ora devotamente compita e consapevole del ruolo a lei affidato come la volle dipingere Leonardo o Tiziano nel capolavoro della Scuola Grande di San Rocco.
Ma qualunque sia la sua rappresentazione, il mistero dell’Annunciazione sembra rivelarsi costantemente in quel sottile confine tra reale e soprannaturale, dove la contraddizione è così evidente, che solamente coloro che credono, possono assumerla come Rivelazione.
Sta in questo palese contrasto tra la vita terrena che Maria condivide con il figlio di Dio e il mistero della sua Assunzione, tutta la forza e la bellezza della sua santità, la consolazione perpetua per coloro che si appellano alla sua bontà, al suo consiglio di Madre, la più tragicamente colpita e nello stesso tempo la più beatificata delle Madri.
E in quell’interstizio, in quel passaggio sottile che separa terra e cielo, ha trovato una possibilità di testimoniare anche l’arte del ‘900, non sempre in maniera ortodossa e conforme alle regole, ma certamente capace di cogliere nella meraviglia di questo evento straordinario l’affermazione di una spiritualità potente. Nel secolo delle immani tragedie, dove sembrano risuonare senza risposta le parole di Gesù “Dio mio, dio mio, perché mi hai abbandonato?” , l’Annunciata sembra ancora rappresentare, pur sotto forma di nuovi simbolismi e nuove metafore, un punto di possibile redenzione.
E così, accanto alla veglia della Madre dolorosa che ai piedi della Croce come ci ricorda Jacopone da Todi in una delle più forti immagini del calvario, invoca “O figlio, figlio, figlio, figlio”, all’apice del suo dolore ma anche al cospetto della Salvezza di Tutti, ecco farsi strada nella più estrema concettualizzazione dell’idea stessa di annunciazione- nello stesso tempo gioia della nascita e profezia della morte- la luce come sintesi e simbolo di una spiritualità senza barriere e aperta ad ogni Credo, abbagliante come abbagliante dovette essere la Parola che cambiò il corso della storia spirituale occidentale.
Sta in quest’abbaglio e in quel senso di sospensione tra cielo e terra, in quell’attesa continua di una Rivelazione, quel pudico sentimento di una spiritualità contemporanea, ormai soggettiva e laica, che però non si disperde e vigila sulle nostre coscienze, e che dell’arte sa talvolta fare strumento di evangelizzazione, nel mistero che ancora tutto avvolge.
Gabriella Belli, direttore Fondazione Musei Civici di Venezia
(dal catalogo edito da Lineadacqua)