MUVE a Mestre

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ATTORNO A TIZIANO. L’annuncio e la luce verso il Contemporaneo. Garofalo, Canova, Fontana, Flavin

“L’Annuncio. La luce” di Luca Massimo Barbero

 

A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.
(Luca 1, 29)

È nell’annuncio e nel suo accettarlo, nel suo darsi (“eccomi”) da parte della Vergine, che risiede il suono e il significato altissimo del Verbo. L’Angelo nunziante pone chiare le sue parole, perentorio e offerente al tempo stesso. Gabriele è il messaggero di quel disegno universale, divino, che tutto inizia e già tutto racchiude.

Di questa scelta e di quello che viene letto come un dono, il più alto, il dare la vita, l’evangelista Luca ha voluto dare con chiarezza il tempo e il luogo: «Nel sesto mese, l’Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Luca 1,26-27).

Tra il popolo cristiano è sicuramente l’avvenimento, che ha avuto una secolare tradizione e una grandissima eco, che si è ripercossa magnificamente nelle rappresentazioni religiose, nelle celebrazioni poetiche e letterarie e nelle arti visive; diventa tema centrale in una continuità che attraversa ogni secolo e modello di fede, per arrivare ad assumere valenza che supera ogni liturgia, per divenire puro simbolo di incarnazione e maternità.
È di questo splendore, di questo mistero che si è nutrita nel proprio percorso la storia dell’arte, attraversando, con rappresentazioni di un’eterogeneità e varietà altissime, la storia dei tempi.

L’iconografia dell’annuncio, ha in primis un luogo dell’atto: la casa di Maria. Poi vede proporre dagli artisti la rappresentazione dell’ “attimo”, in un momento quasi metafisico del gesto dell’Angelo e del volto mariano e della postura del suo corpo, indicante tanto la sorpresa quanto la subitanea consapevolezza: «L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo”».

Al messaggero e alla sua simbologia si dedica l’apertura della mostra con la scultura del Giambologna, proveniente dalle collezioni della Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro di Venezia. Hermes, Mercurio è il messaggero degli dèi ma anche, nella tradizione greca, portatore dei sogni e conduttore delle anime agli inferi.

A questo personaggio alato, conduttore di misteri e di parole, appartiene un gesto della mano, l’indicare qualcosa di superiore, di ultraterreno. E alla laicità, non priva di un secondo significato, sta la parola scritta da uno degli artisti più rappresentativi delle avanguardie del secolo scorso, Lucio Fontana. Io (non) sono un santo… scrive quasi chiedendo spazio tra i primi di quelli che diverranno i suoi famosissimi Tagli. Sul retro, nascosto: Io sono una carogna. Hermes è colui che oltrepassa la tela verso una dimensione altra, nuova.
L’annunciazione è anche opposizione: alla straordinarietà del messaggio rivolto a Maria già vi è sottesa la fine, lo svolgersi della vicenda. A questa contemporaneità degli eventi sembra infatti far riferimento tra le altre opere l’Annunciazione miniata da Secondo Maestro di San Domenico proveniente dalla Fondazione Cini.

Nella pagina di antifonario coesistono la raffigurazione dell’annuncio, l’architettura che si fa lettera iniziale in “M” e lo scritto (che è suono ma eminentemente musica, luogo del canto) che cita Gabriele; a piè di pagina, sono rappresentate tre scene della Passione di Cristo. Così il florilegio mariano si dipana attraverso una moltitudine di “dediche” e rappresentazioni, divenendo tema centrale di opere d’arte, segno di protezione, illuminazione, maternità e dedizione.

A esso è dedicato il salmodiare degli antifonari e la maestria paziente, quasi surreale, delle mani sapienti dei miniatori dei libri d’oro come nella pagina del Maestro dei Tralci dorati della biblioteca del Museo Correr, dove l’artista ha saputo sospendere nell’ipnosi della decorazione fitomorfa – ma così sottile dal divenire motivo astratto – l’edicola dove l’Angelo porge il cartiglio alla Vergine colta in lettura. In un nimbo il Padre, come in un afflato divino, illumina e dirige lo Spirito. In un vaso l’altro simbolo, il fiore. Prima posto nella domesticità della casa di Maria, come emblema virginale, poi traslato dall’alto e proposto da Gabriele che reca con sé il giglio.

Miriadi sono gli oggetti che ne riportano l’immagine. Qui si è scelto di percorrere in un’intensa cronologia la vicenda visiva dell’annuncio e dei suoi sottesi significati, simbologie, in un ritmo intenso quanto sincopato.
Così l’altarolo del XVI secolo con il suo splendere quieto, o ancor più, come accade per quell’anonimo pittore greco-veneto del Museo Correr, l’annuncio è parte apicale del racconto che comprende, in summa, anche la Crocifissione, sino ad angeli nunzianti, avori rutilanti di nubi e luci o immersioni incise nella preziosità di libri di preghiera, rosari e laudi in onore di Maria.

Eppur questa vicenda diviene terrena. Il doge visita la Scuola di San Rocco, così come ce lo racconta Borsato. Una sosta sullo scalone d’onore. Alla sommità l’Annunciazione di Tiziano.

Si apre il canto inarrivabile del Vecellio, perno e culmine di questo percorso. Della meraviglia si legge nei lineamenti della Vergine ma pronta, immersa nella luce e nella struggente e simbolica umiltà domestica consegnata alla natura morta del cesto.

Quotidiani e simbolici oggetti che ben ci descrive, lì affianco, lo stipetto colmo di meraviglie del dipinto del Garofalo, in cui emerge la fragilità di un vetro e lo splendore del metallo. Ma ad altri è dato in questa sede il narrare di questi due straordinari quadri.
Di questo mondo splendido e muliebre cantano le stampe, del contrasto sempre più forte delle incisioni strette nel lusso del bianconero e nella maestria della linea.

Questo sino al controcanto tra materia, tempi e modi nel bassorilievo di Antonio Canova con il Teatrino di Lucio Fontana. Alla monocromia del bianco, al candore del gesso e all’azzeramento della cornice e la tela forata sono delegate le assonanze e le dissonanze di questo cortocircuito.
Luminoso, in un’ascesi che è sintomatica di purezza e di possibile lontananza da ogni organicità il rilievo canoviano. Teatrale, inquadrato in una cornice che ricorda con le sue forme due protagonisti posti alla ribalta della scena, il paesaggio cosmico di Fontana, quasi la teoria di fori suggerisse un volo, un’ansa nel tempo.

Entrambi sospesi in un silenzio superiore fatto di luce bianca come talvolta è stato rappresentato l’Angelo, essere di luce e portatore di grazia divina e dello Spirito. E alla luce mistica, e al tempo stesso elemento del quotidiano, è dedicata maggiormente la parte che prosegue da questo dittico bianco. Del maestro spazialista l’esplosione di luce gialla della Piazza San Marco, della sua Venezia, sede della basilica marciana, luogo splendente per eccellenza, teatro musivo di luce dorata.

Ancora una cornice materica. Fontana racchiude la sua visione con una materia quasi plasmata, plastica dove il colore segue il tracciato delle mani, modellato dai segni che alludono sia ad un cannocchiale prospettico in cui la luce si innalza, sia alle architetture che chiudono la piazza veneziana in uno specchio di pietra e luce. Il mistero della luce. Parte dell’Annunciazione anch’esso.

A questo segreto sembrano introdurci i lavori di Liz Larner, Arthur Duff e Aldo Grazzi. Colmo il primo lavoro della preziosità dei riflessi d’oro (come la superficie intonsa dell’opera di Barry X Ball), allusivo della natura della luce tramite la fiamma e la combustione il secondo, che si impossessa luministicamente di un passaggio nell’architettura espositiva, annuncio della parte finale.
Il terzo mette in scena in un’icona “portatile”, come un altarolo antico sprofondato nella perdita apparente di luce, suono di tenebra eppure rivela il fiore, il simbolo. Quel riferimento alla luce e agli angeli, lo ritroviamo in una rara poesia di Raffaele Carrieri che scrive che il buio è: «In attesa che gli argenti/ Sveglino le valli/ Dove i gigli sognano./ Per non essere mutato in morte/ Mi nascondo, ascolto/ Il trotto alterno/ Degli angeli ribelli».

Quell’angelo moderno, appartenente a una performance di Luigi Ontani, che rappresenta con pudore e sorpresa un angelo incontrato proprio nella memoria della pittura antica. Nella spaventosa e nota immagine delle croci sprofonda il segno di Previati che annuncia, avvisa, lo splendore delle cromie dei neon di Flavin. Una luce che supera la materia e nello spettro del colore chiude la teoria dell’Annuncio con la simbologia del Calvario, luogo appunto in cui si danno corpo come ne gli im mensi giorni di morte, che sarà Resurrezione

 

Luca Massimo Barbero
(dal catalogo edito da Lineadacqua)