Il 31 ottobre 1555 Melio da Cortona, confratello illustre della Scuola di San Rocco, così disponeva nel suo testamento: «Voglio, et ordeno, che il mio quadro della Nuntiata della Sacratissima Uerzene, de mano de misser itiano, qual ho in casa, sia portato dapoi la morte mia, et e ectualmente datto, et consignato al magnifico Guardian et compagni della nostra Schuola di San Rocho, qualli debbino metterlo nel albergho, o nella salla come meglio a loro parerà», soggiungendo poi: «et in caso che non lo volesseno, che nol credo, voglio sia datto […] al reverendo abbate […] de San Michiel da Muran». Il giureconsulto si dimostra dunque ben consapevole del valore del legato, forse inteso a compensare il fatto che lo stesso Tiziano, anni prima, si era offerto di eseguire il “quadro grando dello albergo”, senza poi realizzare nulla.
Due anni dopo la stesura del testamento, il 30 ottobre 1557, l’Annunciazione, prima opera di pregio nella decorazione degli ambienti della nuova sede monumentale della confraternita, vi faceva il suo effettivo ingresso. Destinata in origine a una devozione intima e privata, la tela diveniva così patrimonio comune, dal momento che, a detta degli stessi confratelli, che ne erano consci e orgogliosi, tale sede era un “edificio più pubblico che privato”.
Le fonti cinquecentesche non forniscono peraltro indicazioni sulla sua iniziale collocazione, tanto che si riteneva fosse stata subito posta sopra uno degli arconi del pianerottolo dello scalone, ignorando le precise disposizioni del testatore. Ora, la rilettura di una nota di pagamento relativa a due tele eseguite da Tintoretto nel 1567 per la chiesa di San Rocco sembra invece suggerire una diversa ipotesi. Vi si cita infatti anche «il timpano messo davanti il quadro della Santissima Annonciata, sopra la porta dell’Albergho di fuora». Non c’è dubbio che il quadro sia quello di Tiziano e, nell’ambito della complessa vicenda della realizzazione del portale dell’Albergo, conclusasi solo nel 1575, il perduto “timpano” dipinto da Tintoretto potrebbe essere stato concepito come elemento di una struttura decorativa temporanea.
D’altro canto, l’allocazione della tela tizianesca in una posizione privilegiata, quale l’accesso alla sala che costituiva il cuore pulsante della vita della Scuola, rappresenterebbe una scelta più che consona, alla luce della quale si comprende meglio anche l’impostazione architettonica della sontuosa cornice lignea intagliata e dorata che la racchiude ancor oggi.
Allo stesso modo, si può supporre che proprio i lavori di completamento del portale e l’inizio di quelli per il sotto della Sala Capitolare ne abbiano poi determinato lo spostamento sullo scalone.
Alcuni anni dopo, nel 1588, Jacopo Tintoretto le avrebbe creato un pendant con la Visitazione, collocata sopra l’arcone dirimpetto.
I due dipinti rimasero quindi in loco fino al maggio 1915, quando furono rimossi per proteggerli dagli eventi bellici, per “scendere” poi di nuovo in occasione delle due grandi mostre dedicate ai rispettivi autori (1935 e 1937) e non far più ritorno nell’antica collocazione fino al 2014, dopo il restauro delle cornici e la creazione di un adeguato sistema d’illuminazione.
Se certe sono dunque le modalità della sua acquisizione e gli esiti del restauro (1989-1990) hanno confermato appieno l’autografia tizianesca dell’Annunciazione, più complessa risulta la sua collocazione cronologica all’interno del percorso stilistico del maestro, a lungo oggetto di controversia con proposte di datazione oscillanti tra 1515 e i primi anni quaranta.
Oggi la critica è pressoché concorde nel fissarne l’esecuzione alla metà degli anni trenta sulla scorta di raffronti stilistici con la Presentazione della Vergine al Tempio della Scuola Grande della Carità (1534-1538) e con la perduta Annunciazione, realizzata per il convento di Santa Maria degli Angeli di Murano (1537). In quest’ultima, la cui iconografia è a noi nota attraverso la traduzione incisoria di Jacopo Caraglio, la scena dell’annuncio, impostata con un andamento verticale, si caratterizzava per un marcato dinamismo nelle figure.
Dal punto di vista compositivo, la tela di San Rocco, credibilmente di poco precedente, presenta invece una struttura spaziale di tipo rinascimentale, sobria ed equilibrata, memore ancora per certi versi dei ritmi narrativi delle Annunciazioni belliniane (Fogolari, 1935), in cui la tranquilla compostezza dell’insieme è rotta soltanto dalla figura “pomposamente decorativa” (Pallucchini, 1969) del messaggero divino.
Le figure dei protagonisti si collocano su un proscenio caratterizzato da una semplice struttura architettonica, costituita da una balaustra e da una fuga di colonne, mentre sullo sfondo si apre un paesaggio di ampio respiro. Altrettanto tradizionale è la scelta dei simboli: dal giglio della castità nella mano dell’angelo agli elementi che, ai piedi di Maria, la presentano come “nuova Eva”, colei che cancella il peccato della progenitrice.
Il cestino da lavoro si richiama alle vergini incaricate di tessere una nuova tela per il tempio di Gerusalemme; il pomo rappresenta Eva tentatrice, ma è la pernice della conceptio per aurem, a simboleggiare l’Incarnazione divina.
Maria Agnese Chiari Moretto Wiel
(dal catalogo edito da Lineadacqua)